
Ci siamo mai fermati a pensare quanto tempo passiamo con lo smartphone in mano? Non parlo solo di messaggi o social, ma di quell’inquietante sensazione che, se lo lasciamo sul comodino per più di dieci minuti, il mondo stia per crollare. È diventato il nostro consigliere, il nostro oracolo, il nostro specchio. Lo smartphone sa cosa vogliamo prima ancora che lo sappiamo noi. O almeno così ci piace credere. C’è qualcosa di profondamente curioso in questa relazione. Cerchiamo risposte rapide, gratificazione immediata, conferme, like e notifiche... e spesso ci dimentichiamo di guardare dentro noi stessi. Il nostro guru digitale ci tiene sempre occupati, ma non ci insegna a conoscerci davvero. Non ci mostra chi siamo quando non c’è nessuno a giudicarci, quando non cerchiamo approvazione, quando siamo semplicemente noi.
La vita reale, quella che non entra in uno schermo, è piena di sfumature che il telefono non può catturare. Il silenzio, l’attenzione a ciò che ci circonda, il sentire le emozioni senza distrazioni: sono tutti insegnamenti che il nostro dispositivo non sa dare. Per ritrovare il contatto con noi stessi serve un atto di coraggio: mettere giù il telefono, respirare, osservare, ascoltare, essere presenti. È allora che scopriamo che la nostra mente sa già molte cose che nessuna app potrà mai insegnarci.
Ecco perché, in fondo, lo smartphone dovrebbe essere solo uno strumento, non un maestro. Perché la vera saggezza, quella che resta, nasce dall’esperienza diretta, dall’attenzione, dalla presenza a se stessi e agli altri.
E poi c’è l’intimità, quell’area sacra in cui la presenza dell’altro dovrebbe essere totale. Quante volte ci capita di essere seduti accanto a qualcuno, magari a cena o sul divano, e invece di ascoltare davvero, scivoliamo tra notifiche, chat e video? È un piccolo tradimento quotidiano, perché l’attenzione è il regalo più prezioso che possiamo fare. Un consiglio pratico: proviamo a creare momenti “senza smartphone”, almeno durante una conversazione importante o un appuntamento romantico. Mettiamo il telefono in un’altra stanza, respiriamo, guardiamo negli occhi chi abbiamo davanti e ascoltiamo davvero. Un messaggio o un like possono aspettare, ma la connessione umana no. È un allenamento alla presenza che salva la relazione e, sorprendentemente, ci fa sentire più liberi anche quando torniamo al nostro dispositivo.
Questo tema, è uno dei molti affrontati nel mio libro per adolescenti “Chi sei davvero?”, che presto arriverà in vendita su Amazon. Un libro pensato per aiutare i giovani a conoscersi, a capire il valore delle proprie emozioni e delle proprie scelte, anche in un mondo sempre connesso e pieno di distrazioni.
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