Grazie di cuore a chi mi ha buttato lì questo tema – perché la fiducia è quel pilastro fantasma delle nostre vite: non la vedi, non la tocchi, ma regge amicizie da Oscar, amori da soap opera, collaborazioni da startup e persino la nostra capacità di dire “ok vita, fai tu” senza ansiolitici.
È fragile come un bicchiere di cristallo in mano a un ubriaco. Si costruisce con gesti quotidiani: “ci sono”, “ti ascolto”, “non sparisco” ... ma crac, crolla in un secondo: un tradimento, o una crepa minuscola che col tempo diventa Grand Canyon emotivo. E lì capisci quanto valeva: senza, tutto è più freddo, più duro, più “eh, vabbè”.
Riconquistarla? Un’odissea. Non basta un “scusami” da WhatsApp, né promesse da venditore di aspirapolveri. Non si impone, non si compra su Amazon: si guadagna, lento come una tartaruga sotto caffeina. Chi ha ferito deve ingoiare il rospo: accogliere il dolore altrui senza scuse da avvocato, ascoltare senza difendersi tipo “ma io intendevo…”. Servono fatti, non chiacchiere: coerenza, presenza, gesti quotidiani che urlano “questa volta è vero”.
La fiducia ha bisogno di tempo... quel terreno noioso dove crescono le prove sincere. Nutrimento lento: sincerità, trasparenza, zero giochetti.
Ma il colpo di scena? Imparare a fidarsi di nuovo. Tenere le porte sbarrate per paura ti protegge… ma ti condanna a una vita da eremita con Netflix. Non significa dimenticare o fare i ciechi: significa scegliere di non rinunciare alla bellezza di un “ok, riproviamo”.
È un dono reciproco fragile ma potente. E forse il coraggio più grande: dire all’altro, dopo tutto, “Mi affido di nuovo a te”.
(Senza rete di sicurezza. Ma con stile.)
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